Bicocca Tips | Tre consigli per una Fashion Revolution

Bicocca Tips | Tre consigli per una Fashion Revolution

La moda, oggi più che mai,ha bisognodi unarivoluzionee laFashion Revolution Weekconclusa di recente (18-24 aprile), ancora una volta non perde occasione per ribadirlo,prima che sia troppo tardi. Sotto i riflettorinon c’è solamente ilsistema produttivoche sta dietro questo immenso settore, ma anche ilmodoe lostileche noiconsumatoriadottiamo nel momento in cui ci troviamo a comprare e usare i nostri cari amativestiti. Ogni anno, la Fashion Revolution Weekdedica attenzioni atematiche ben preciseche poi vengono sviluppate e raccontate in modo più approfondito durante la settimana. Sette sono i giorni di tempoche laFashion Revolution Week si pone pergettare le basie dar vita adazioniche possono concretamenteaiutarea costruire e migliorare ilsistema della moda. Quest’anno ilfocusè stato proiettato sutre elementi: fashion, soldi e potere.Unatriade, che come puoi immaginare, ha un’enorme influenza nella nostra società. A questo puntofermiamociperò un attimo per capire il senso di questa settimana dedicata alla rivoluzione del mondo della moda. Dobbiamo prima chiederciperché si è giunti a dedicare ben sette giorni a questo tema. Bangladesh, 23 Aprile 2013: crolla ilRana Plaza, un edificio (se così si può definire) che ospitava migliaia di operai che lavoravano per molti importanti brand di fast fashion; di essi1.133 perdono la vita, altri2.500rimangonoiferiti, per lo più giovani donne. È unatragedia. Questa catastrofe passa alla storia come ilquarto disastro industriale più grande di sempre. Il crollo del Rana Plaza segna larotturadi unvaso di Pandoracheporta a galla dei retroscena impensabili.Il mondo della moda doveva rispondere in qualche modo. Ecco così che in memoria di quella data si è pensato didedicare una settimanapersensibilizzareancora di più il fatto chenessuno debba più morire per la moda. Iltema della sostenibilitànon può che essere preso in considerazione. Facciamo però un passo indietro, partiamo da qui: dall’industria del fashion. Con unvalore globale di mercatopari a2.4 mila miliardi di dollarie più di50 milioni di lavoratoricoinvolti, il settore della moda può vantarsi di essere laseconda industria più grande,e di conseguenza importante,al mondo. Con un’economia capitalisticafino al midollo e unasocietàa dir pococonsumistica, basata su velocità, eccesso e scarto, l’industria della moda non può che sfruttare questa situazione a suo vantaggio perdar vita al peggio.A cosa mi sto riferendo? A quello che è un po’sotto gli occhi di tutti:modi di produrre insostenibili per l’ambiente e per i lavoratori, consumatori con una fame d’acquisto quasi perenne e armadi che diventano sempre più pieni. Facciamo però chiarezza, anche perchè altrimenti si rischia di fare di tutta l’erba un fascio. Ad aver bisogno di una rivoluzione è unrepartoin particolare dell’industria della moda: ilfast fashion. L’abbigliamento low cost, inizialmente osannato per aver dato la possibilità di avere una vera e propriademocratizzazione della moda, ha reso, grazie ai suoi prezzi accattivanti, ivestiti alla portata di tutti. Questo però crea un problema alla base. Per vendere capi di abbigliamento a prezzi allettanti è necessario per le aziende risparmiare da qualche parte: ecco che a venir sacrificati sono le condizioni lavorative di chi produce questi vestiti e i materiali utilizzati.Non vi è alcuna traccia di sostenibilità. Nulla è sostenibilein questo sistema produttivo e a rimetterci, oltre agli operai sfruttati, è il nostro pianeta. Ci sarebbero tante cose da scrivere, ma in questo articolo mi voglio concentrare su altro. Se sei curioso e vuoi saperne di più in merito al fenomeno del fast fashion ti consiglio di guardare questo documentario che trovi gratuitamente su YouTube. The True Costvuoledar lucea unarealtàcheper tanto tempo è stata magistralmente nascosta.L’intento del regista è quello di raccontare gli effetti che il fast fashion ha sull’ambiente e l’impatto di noi consumatori. In questo articolo voglio parlarti di tre modi, o meglio, tre piccolitipsche puoi iniziare a prendere in considerazione e adottareper contribuire nel tuo piccolo ad avere dei comportamenti più sostenibili. Iniziamo. Hai mai sentito parlare di Swap party?Sii sincero. Nascono aManhattane si tratta dieventi, di solito casalinghi, in cui persone (conoscenti o meno) si incontrano perscambiarsi vestiti. A chiunque capita di avere nell’armadio un capo che non usa più, una maglietta troppo piccola o una camicia comprata proprio per quell’occasione speciale che poi non c’è mai stata… e così si finisce peraccumulare robache rimane lì, a prender polvere. Gli swap party nascono proprio per risolvere questo problema:scambiare vestiti per donar loro una seconda vita.Lo so, ha un po’ levibes del barattoche si praticava millenni fa…eppure funziona. Come per ogni party, ci sonodue elementichenon possono assolutamente mancare.Quali?Decluttering eriuso. Nell’ultimo periodo, nella maggior parte delle grandi città italiane, son spuntati un po’ come funghi, negozi di vestiti di seconda mano. Hai mai provato a entrarci per dare una sbirciata? È vero,inizialmente magari è un po’ strano, soprattutto se si pensa che son capi di abbigliamento indossati e posseduti in precedenza da un’altra persona, ma come per ogni cosaè tutta questione di abitudine. Perchè puntare sul vintage?A parte per la bellezza di alcuni abiti, comprare usato significarispettarelaregolache staalla base del vivere in modo sostenibile:usare quello che si ha a disposizione.Dopotutto, perchè comprare un nuovo giubbotto in jeans quando in un negozio di seconda mano, o meglio ancora, nell’armadio di tuo papà, ne puoi trovare uno a cui donare una nuova vita? Tra l’altro, la stessaCoco Chanel riteneva che: L’eleganza non consiste nell’indossare un vestito nuovo. Possiamo fare la differenzapartendo da un gestomolto semplice:compriamo meno e meglio. Lo so, anche a te sarà senz’altro capitato di fare quegli acquisti in cui l’unico motivo per cui sei finito a comprare quel determinato indumento è stato perché costava davvero poco.Capita a tutti.Però ecco, così facendo, si finisce nell’acquistarevestiti “usa e getta”, chiamati così proprio perché a causa della loroscarsa qualità, si rovinano nel giro di pochi lavaggi diventandobrutti da indossaree per questobuttati. La terra offre quanto basta a soddisfare i bisogni di ogni uomo, ma non la sua avidità