Bicocca Tips | 3 riflessioni difficili ma necessarie da fare nel 2022

Il 2022 è arrivato e con esso ci sono nuovi propositi e progetti. Ma come fare a renderli davvero realizzabili? Prima bisogna guardare in faccia le verità più dure.


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Ogni primo giorno di gennaio si tinge di una benevola aura di propositività. Siamo tutti più energici, più ottimisti e convinti che sia arrivato finalmente l’anno della svolta. La lista dei buoni propositi finisce però spesso a prendere polvere in un cassetto e si arriva al successivo Capodanno pieni di frustrazione e con ben poco senso di autorealizzazione.

Ma come facciamo a spezzare questo loop alimentato a inerzia e senso di colpa?
Forse, per questo 2022, è il caso di partire da cosa vogliamo davvero per noi stessi, senza appellarci ai consigli di vita vuoti e generalisti da guru del self-help. Non saranno le sveglie all’alba, né l’abbonamento in palestra o routine stacanoviste a renderci più felici, non se prima non scendiamo a patti con noi stessi e troviamo il coraggio per guardare in faccia le verità più dure che di solito opprimiamo a tutti i costi. Ecco quindi 3 riflessioni che vale la pena fare, sia all’inizio di quest’anno che in qualunque altro momento, che possono aiutarci a rendere i nostri propositi più onesti, raggiungibili e realmente legati ai nostri desideri.

1) Alla fine della storia, rimani solo tu

L’uomo è e rimarrà per sempre un animale sociale. Negli ultimi due anni abbiamo capito ancora meglio, fra un lockdown e l’altro, quanto anche i più misantropi abbiano un intimo bisogno del contatto umano. Se ci fermiamo un attimo a pensarci, ci rendiamo conto che buona parte delle nostre azioni è strettamente intrecciata con i nostri rapporti sociali e quindi con gli altri. Ciò è ovviamente giusto e naturale, è proprio la connessione con il prossimo ad essere la base di una società civile.


Ma cosa succede quando ci dimentichiamo di porre il confine fra Io e Loro, quando siamo talmente focalizzati sulle risposte altrui da lasciare in secondo piano noi stessi? Che sia per ottenere l’approvazione dei pari, per riprova sociale o per aiutare chi amiamo, finiamo per perdere di vista la nostra identità, tanto da non riuscire a riconoscere i nostri veri propositi. La lezione, banale ma raramente applicata, è che alla fine della storia l’unica persona che ci rimarrà è noi stessi, quindi tanto vale prendercene cura e ascoltarla, anche a costo di seminare qualche delusione qua e là.

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2) La maggior parte di ciò che succede, non dipende da te

Lo psicologo Albert Bandura individua come una delle caratteristiche umane di base l’agentività, ovvero la facoltà di intervenire sulla realtà, di esercitare un potere causale. Percepire questo tipo di controllo ci fa credere di poter direzionare le nostre vite come più ci è comodo e ci dà il senso di predicibilità necessario per costruire progetti. Dall’altra parte, convincersi di poter modificare le situazioni che sperimentiamo rende molto più destabilizzante ogni cambio di direzione, facendoci sentire incapaci di gestirli e insicuri.


La verità è che buona parte di ciò che ci accade non dipende affatto da noi. Bisogna imparare a riconoscere in un problema le sue cause situazionali, quelle per cui non possiamo agire ma solo reagire. Ammettere di non poter rispondere di ogni avvenimento, positivo o negativo, ci fa sentire sicuramente più impotenti, ma ci alleggerisce anche delle responsabilità sproporzionate che tendiamo ad attribuirci. Davanti ad un intoppo, proviamo a chiederci se davvero possiamo risolverlo da eroi o se forse è il caso di fare un passo indietro e accettare il ruolo di comparsa.

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3) Non sei eccezionale (e va bene così)

L’idea che cercano sempre di più di venderci è che ognuno di noi è un essere unico e irripetibile, con un futuro ricco di successi, raggiungibili a patto di avere il “mindset giusto” (ovvero quello più compatibile con ciò che offre il prodotto del giorno).

La realtà è a dire il vero ben diversa: la maggioranza finisce per vivere una vita perfettamente nella media. E va benissimo così. Accettare di non essere particolarmente speciali e che probabilmente non raggiungeremo mai risultati straordinari non vuol dire bruciare le proprie ambizioni o ammazzare la propria autostima, bensì è il punto di partenza per liberarsi degli standard irrangiungibili che pensiamo di dover avere e dedicarci invece al nostro personale percorso di miglioramento.

Essere ordinari vuol dire che là fuori c’è una schiera di persone che condivide le nostre stesse gioie e gli stessi dolori e che anche i nostri problemi più grandi possono essere ridimensionati. Rinunciando ai grandi propositi utopici riusciamo inoltre a trovare soddisfazione nei piccoli traguardi, che già di per sé sono degni di riconoscimento, dissipando l’ansia di dover scalare senza sosta per raggiungere vette sempre più elevate che non ci appartengono.

Come scrive Mark Manson nel suo bestseller The Subtle Art of Not Giving a F*ck:

The ticket to emotional health, like that to physical health, comes from eating your veggies – that is, accepting the bland and mundane truths of life: truths such as “Your actions actually don’t matter that much in the grand scheme of things” and “The vast majority of your life will be boring and not noteworthy, and that’s okay”.

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Ci sono decine di altre conversazioni difficili che potremmo fare con noi stessi e l’impatto di ognuna dipende sempre dalle nostre esperienze passate e dai valori da cui ci facciamo guidare. Lo scopo non è sicuramente ammazzare l’entusiasmo per un nuovo inizio, bensì riconoscere gli ostacoli che ci bloccano e accettarne l’esistenza. Questo è il punto di partenza per sormontarli là dove è possibile o per imparare a incorporarli mentre lavoriamo per costruire una vita felice ed equilibrata.

Buon anno a tutti voi e ai vostri nuovi e più autentici propositi!


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