Intervista | I Frammenti di Marco Jamoretti


Dal 27 marzo 2023 è disponibile su Amazon Frammenti, il primo libro del ventiquattrenne Marco Jamoretti. È una raccolta di racconti intima e delicata che punta i riflettori su piccoli pezzi d’esistenza, spicchi di vita vissuta. Noi di Radio Bicocca abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Marco per esplorare il suo lavoro.

L’intervista

Ciao Marco, vuoi presentarti?

Ciao, mi chiamo Marco, ho 24 anni e sono di Milano. Ho studiato Scienze Psicosociali della Comunicazione (SPC) in Bicocca. E sono l’autore di Frammenti

Che cos’è Frammenti?

Frammenti è una raccolta di racconti di vita quotidiana che parla di avvenimenti accaduti davvero. Non saprei come definirlo meglio, in realtà è nato più come un esercizio di stile che condividevo su Wattpad. Poi, però, con la pandemia il progetto si è trasformato. Durante quel periodo mi sono ritrovato in uno stato mentale che mi ha isolato un po’ dal resto. Stavo molto in compagnia dei miei pensieri e questo ha modificato anche i contenuti di Frammenti. Ho continuato a scrivere di eventi realmente accaduti, ma se prima erano legati al passato, da Parassita in poi sono diventati attuali e quindi più intimi come la convivenza con il Covid e il rientro in Università.

Come ti fa sentire l’idea che chi ti legge arriva a conoscerti così a fondo? 

Quanto ho iniziato a scrivere e diffondere su Wattpad Frammenti non avevo realizzato il fatto che alle persone bastasse leggere quei pezzi per conoscermi più di quanto io avrei mai potuto conoscere loro. C’è uno specifico frammento in cui prendo atto di questo aspetto ed è Negativo. Non avevo pensato che a un certo punto avrei potuto trovarmi con questo tipo di dislivello informativo e la cosa mi ha fatto sentire un po’ a disagio perché mi è sembrato di non avere barriere tutto d’un tratto.

Ora che il libro è stato pubblicato ed è acquistabile da chiunque, hai fatto pace con il fatto che altri sapranno sempre un po’ più di te?

Sì è una cosa con cui ho fatto i conti e che ho imparato ad apprezzare, guardandola anche da un’altra prospettiva.  Il fatto è che per quanto io abbia condiviso aneddoti e situazioni di vita vissuta e le persone possano farsi un’idea di me,  non potranno mai dire di conoscermi davvero o approfonditamente. Gli altri possono farsi un’idea di chi io sia sulla base di quello che ho scritto in Frammenti ma ciò non significa che mi conoscono. Questo perché dire la verità e scriverla sono due cose diverse. Questa è anche la consapevolezza con cui ho scritto il finale della raccolta.

Frammenti
Copertina di Frammenti © Gioele Pelucchi

Il mestiere dello scrittore nel XXI secolo

Hai detto che Frammenti era un esercizio di stile poi è diventato una cosa più personale e che è fatto da una serie di piccoli racconti. Pensi che tutti questi elementi possano aver influenzato la tua scelta di autopubblicarlo invece di presentarlo a una casa editrice? 

Non mi sono rivolto a una casa editrice perché credo che non fosse nel loro interesse pubblicare una cosa del genere. Il mio è un esperimento che cerca di rendere interessante la vita di uno sconosciuto. Di solito leggiamo l’autobiografia di persone che hanno fatto qualcosa di grandioso o che ci incuriosiscono in qualche modo. Frammenti, invece, parla di persone comuni – io in primis – che sono anonime al resto del mondo e dunque, come prodotto commerciale, non è allettante per una casa editrice. Inoltre, non ho creato Frammenti per una questione di profitto economico, assolutamente. Il mio obiettivo era un altro e l’autopubblicazione è stata una buona soluzione per raggiungerlo. 

L’autopubblicazione ha i suoi lati positivi ma anche negativi. Per esempio, c’è il rischio di “buttare fuori” un prodotto finale scadente, anche perché non hai tutto il supporto che invece una casa editrice può offrirti.

A dire la verità io ho avuto più problemi con scritti usciti da case editrici. Il self è una grande opportunità, certo è un percorso più faticoso perché, di solito, sei solo a dover affrontare molte delle varie fasi della pubblicazione ma questo non è sinonimo di bassa qualità. Non nego che comunque è una realtà in cui è possibile trovare libri poco rifiniti ma questo accade anche nelle CE. Tutto sta alla professionalità della persona che pubblica e credo sia riduttivo pesare diversamente un libro autopubblicato rispetto a uno che esce tramite casa editrice, nel bene e nel male. E poi la merda la trovi anche nelle case editrici, tanto per dirne una. Ad oggi non è facile vivere solo di scrittura o di arte in generale, però solo perché l’autopubblicazione è un percorso tortuoso, non è comunque giustificabile trovare un prodotto poco o per niente curato. Fino ad adesso infatti ho letto solo pubblicazioni che mi sono sembrate buone. 

Ora che hai scritto Frammenti ti definiresti uno scrittore? 

Nel CV metterei che ho scritto Frammenti, però non so se mi definirei uno scrittore. È una domanda difficile. Mi piacerebbe dire che l’essere scrittori è uno stile di vita, ma non è così. Oggi più che mai il lavoro dello scrittore presenta una fortissima componente legata al marketing e alla capacità d’essere imprenditori di sé stessi. Non è più sufficiente scrivere qualcosa di tanto in tanto, vivere di sogni e ambizioni. E forse non lo è mai stato. Abitiamo in una società iper-individualista in cui ogni cosa deve garantire un ritorno (meglio se economico).

Se scrivi libri devi essere in grado di venderli e naturalmente vendi se sei in grado di scrivere bene: è un cerchio. Da un lato, questo è un percorso che garantisce l’uscita di lavori fatti come si deve. Il lettore sa che il mercato offre dei libri di una certa qualità, anche se emergere è difficile perché è una realtà satura. Ma per tornare alla tua domanda, non mi considererei scrittore di professione, non ancora. Però mi definirei scrittore come lifestyle, se così possiamo dire. 

Playlist di Frammenti

Gli spazi e gli abitanti di Frammenti 

In Frammenti parli di Milano e del tuo difficile rapporto con questa città. 

Oddio, quanto perderà le staffe la gente per quello che ho scritto su Milano. Questa città la vedo per quella che è. Ne parlo in Monumento e in Big City Life. In Monumento emerge l’angoscia e il sentirsi stretti. Parlo dello stato d’animo e delle volontà che la città ti costringe a fare tue. Big City Life, poi, è il racconto esasperato di quello che la città pretende. Non vorrei che la gente creda che io disprezzi così tanto Milano, è solo che ogni frammento è figlio del momento e dello stato d’animo in cui è stato scritto e Milano esaspera, molte volte. Dà anche tanto e infatti non avrei scritto nulla di Milano se non mi avesse lasciato qualcosa, però ha anche tanti problemi come l’arrivismo che la anima o il capitalismo o questa sua stessa aura da città perfetta che ostenta.

È una città che a volte -mi sembra- creda di essere una metropoli europea, però si dimentica di essere in Italia e spesso viene vista come una sorta di Eldorado o l’America d’un tempo. Milano è bella solo per quelli della Milano bene o per chi arriva da fuori e qui dice di riuscire a trovare la possibilità di esprimersi e di respirare meglio, che può essere vero ma non esaurisce quello che da come città. Qualcuno a sentirmi così cinico potrebbe dire “perché non te ne vai se detesti tanto questo posto?” Perché qui ho tutto: gli amici, la famiglia, i miei 24 anni di vita. E poi, perché dovrei farlo? Perché dovrei sentirmi costretto a lasciare la città a causa degli affitti esorbitanti o del suo ritmo insostenibile? Trovo ingiusto che i problemi della città ricadano su di me e spero che le cose possano cambiare.

C’è un altro luogo che compare nel tuo scritto: Voragine. Cos’è? 

Ah, Voragine. Siamo qui tra l’altro. È la parte bassa di Piazza della Trivulziana e si trova in Bicocca. Non so come sia nato questo nome, ma tutti mi dicono che sono stato io ad averlo inventato quindi evidentemente è andata davvero così. È il posto che vedo con più affetto rispetto al resto di Milano. Rappresenta la mia prima parte del primo anno e l’ultima parte del terzo anno d’università, visto che di mezzo c’è stata una certa catastrofe.

Voragine si chiama così perché, appunto, risucchia tutto e tutti, raccoglie persone diverse, a volte distorce un po’il tempo… e poi è incavata. È proprio un buco, circondato da palazzi. Per me è un posto speciale anche se è una piazza anonima. Qui ho costruito e nutrito legami d’ogni sorta: a volte per un solo pomeriggio, altre per mesi interi. Uno dei miei sogni è tornare qui tra vent’anni e scoprire che le matricole la chiamano ancora così, sarebbe una bella soddisfazione. 

Frammenti
Piazza della Trivulziana

Frammenti parla anche di persone. Gente che conosci e che avrà letto il libro. Come hanno reagito quando si sono ritrovate nei vari episodi?

Bene. Alcuni forse non sanno di esserci però, gli altri si sono ritrovati con facilità. Ho usato dei soprannomi semplici, quindi, non è davvero un mistero capire di chi o con chi sto parlando, per le persone vicino a me. È stata una scelta voluta e per chi leggerà il libro senza conoscermi saranno solo dei personaggi con nomi particolari.

Ultima domanda: cos’hai in cantiere per il futuro? 

Allora, ho in pentola un fantasy. In realtà è un lavoro che sta ribollendo da moltissimo. Però ora che non ho mille cose da fare in contemporanea, come il periodo precedente, progetto di dedicarmi di più a questo libro. Mi piacerebbe dare il massimo, non so quando uscirà ma so che quando accadrà devono impallidire tutti. Scherzi a parte, so che il fantasy richiederà più lavoro e mi voglio prendere la giusta quantità di tempo. Senza fretta. Intanto mi godo l’uscita di Frammenti.


Areeba Aksar

Conosciuta come Ary, è nata a Kotli nel 1999. Studia Scienze Psicosociali della Comunicazione alla Bicocca. Apprezza i libri usati, gli indelebili per scrivere cose permanenti e i dialoghi dei film che non ti scordi. Soffre di meteoropatia estiva, se potesse vivrebbe da qualche parte in Quebec.

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