Intervista | Jesse the Faccio: la speranza e il colore che la rappresenta, il verde


Jesse the Faccio

“Dormire poco, cantare male, fregare il tempo e capire che è lui che ti sta a fregare”

Dopo un anno in giro per l’Italia con una serie di live, su tutti il Miami Festival, Jesse The Faccio è tornato il 13 Marzo con il suo nuovo e ultimo lavoro, Verde pt1 e pt2. A causa di questo momento assai complicato abbiamo per necessità avuto un contatto telefonico, che non ci ha però fermato dal fare quattro chiacchiere con Jesse, sulle recenti esperienze con i concerti e sull’album.

Ciao, ormai a un anno da quando ci siamo incontrati per la prima volta come stai?

Ciao! Diciamo che sto abbastanza bene, ma suppongo ci sia un po’ per tutti un senso di instabilità e difficoltà. Diciamo che viviamo queste giornate sperando in meglio.

Eravamo in radio e ti abbiamo intervistato per il tuo primo lavoro I soldi per New York che ti ha portato in giro per concerti e live, come ad esempio il Miami. Come è stato partecipare a questo festival? Hai conosciuto qualcuno in particolare che ti ha colpito?

Sicuramente il concerto del festival Miami è stato uno dei migliori a cui abbia mai partecipato, soprattutto per l’ambiente che ho trovato. Colmo di ragazzi che venivano ad ascoltare altrettanti ragazzi, che si esibivano contemporaneamente su più palchi. Anche la gestione del backstage e di tutta l’organizzazione è perfetta, lasciando ampie libertà agli artisti. La persona più cara che ho conosciuto e ho portato con me da quel festival è Samuele Canestrari, il ragazzo che mi faceva le grafiche live durante il concerto. L’ho conosciuto lì e poi ha realizzato per me il video di Caviglie, il primo singolo di Verde pt1 e pt2. Da lì si è creato un grande rapporto di amicizia.

Oggi invece non siamo in radio, ma siamo ben a distanza. Esattamente dove sei, dove stai passando questo momento di ‘’clausura’’?

Io sono a Padova con mia nonna e siamo entrati in quarantena quindici giorni fa ormai, come la Lombardia, due giorni prima di tutta l’Italia.

Ritornando al motivo principale del perché ci stiamo sentendo, arriviamo a Verde pt1 e pt2. Hai diviso l’album in due sezioni, entrambe aventi come centro la speranza. Ci spieghi queste divisioni e come la speranza viene doppiamente interpretata in queste sezioni?

Per la prima parte avevo dei testi in cui esprimevo come il concetto della speranza valeva sì qualcosa ma anche no. Cercare di avere una consapevolezza e una sicurezza di sé, andando sempre avanti a testa alta.
E per casualità per quanto riguarda le musiche aveva delle sonorità che ricordavano il disco precedente I soldi per New York e dunque sembrava un giusto proseguimento di questo disco con delle chitarre ancora maggiormente pronunciate. Per la seconda parte invece avevo altre canzoni che scorgevano nel concetto di speranza una maggior fiducia, come fosse l’ultima cosa che ti rimane una volta perso tutto. Per concludere con la grande speranza ultima dell’amore, e un cuore che aprendosi diventa grande. Per questa parte musicalmente si è scelto di utilizzare dei suoni più ricercati, come l’utilizzo della drum-machine, o dei bonghi;  in generale un modo di lavorare e una produzione diversa rispetto alla prima parte e al disco precedente.

Quale preferisci dei due lati?

Non so. Tendenzialmente la seconda parte, ovvero credere nella speranza. Però dipende tantissimo anche dal contesto, come ad esempio è successo per questo disco. Un sacco di materiale era già pronto, ma per produrlo, pubblicarlo e partorirlo sono passato anche da questo ultimo credo chiamato speranza.

Speranza è anche un rapper, per così dire di nicchia, ma che ha riscosso molto successo nel tuo stesso periodo in un genere diverso rispetto al tuo. E anche Speranza era presente al Miami Festival. Lo hai conosciuto, e in generale che pensi del personaggio e della sua arte?

Sì, l’ho conosciuto proprio al Miami Festival ed è stato fantastico. Innanzitutto credo abbia espresso uno dei lavori più originali negli ultimi anni in Italia, facendo un genere che funziona molto ma facendolo in una maniera completamente sua e diversa, che in Italia non era ancora presente con una lingua che possiamo definire di nicchia. E sembra un artista internazionale. Ovviamente USA, Francia e altri paesi avevano già espresso forme simili, ma in Italia non era mai capitato.
Tornando all’incontro al Miami è stato bellissimo e pazzesco. Siamo andati per chiedergli una foto e salutarlo e siamo rimasti a parlare per mezz’ora. Ha per di più salutato molto rapidamente Noyz Narcos, il quale passava di lì, per poi ritornare immediatamente a parlare con noi, come ci aveva promesso poco prima.

Nel testo di 666, all’inizio della canzone nomini Vasco, e in generale i suoi testi. C’è un motivo (oltre alla rima)? Sei stato o sei un fan del cantante?

In verità ho pensato a due Vasco, Vasco Rossi e Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica); ovviamente però non ho specificato quale dei due Vasco , perché volevo che fosse l’ascoltatore a interpretare il nome. Si può pensare per prima cosa che una frase di una canzone scritta su un sedile di un bus sia di Vasco Rossi, ma ho pensato che magari la frase su quel seggiolino dal duemiladieci in poi potesse essere de Le luci della centrale elettrica.
Mia madre è una grandissima fan di Vasco Rossi. Io nutro grande rispetto per il lavoro che ha fa e ha sempre fatto per il panorama italiano negli ultimi quarant’anni, un grande, un grandissimo. La stessa cosa per Vasco Brondi; ho grandissima stima per il lavoro che ha fatto per riportare la musica italiana e d’autore a un grandissimo livello negli ultimi dieci anni. Sono un grande fan. Mi confonde.

Informandoci nei tuoi tour hai anche aperto per band, quali i Tre Allegri Ragazzi Morti. Come è stato aprire un concerto per una band di quel calibro nella vostra scena musicale?

È stato a Roma ed è stata chiaramente una grandissima figata. Loro, insieme a Canali, gli Zen Circus e molti altri, sono estremamente importanti per la musica e la gavetta da fare. Molteni, il bassista dei Tre Allegri Ragazzi Morti, è venuto a sentire il sound check dicendomi di essere un grande fan della roba che facevo. Poi hanno una grandissima professionalità e fanno concerti infiniti. Ad esempio hanno dedicato un momento del concerto a come si faceva il punk vent’anni fa, animando inimitabilmente il pubblico.

Tornando al titolo dell’album, il verde corrisponde anche al tuo colore preferito?

Diciamo che non mi dispiace, è un gran bel colore. Da bambino il mio colore preferito era il giallo, mentre in adolescenza è diventato il rosso. Con la depressione crescente è diventato il blu, ma poi alla fine devo ammettere che sia per il mio carattere sia per quello che è il mio lavoro non disdegno affatto il verde e la speranza.

Ringraziamo Jesse the Faccio per la disponibilità, di seguito vi lasciamo alcuni link utili:


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