Intervista | Sabina Airoldi e la difesa dei cetacei

Intervista | Sabina Airoldi e la difesa dei cetacei

nostri mari? La situazione è drammatica. I cetacei sono in cima alla rete
trofica quindi, per il discorso dell’accumulo delle sostanze tossiche, queste
finiscono per accumularsi in quantità enorme. Nei nostri mari abbiamo problemi
di inquinamento chimico e plastico. La plastica è arrivata alla notorietà solo
ultimamente ma il problema è noto da oltre 15 anni. È entrata a far parte della
rete trofica e di conseguenza tutti i pesci ne hanno al loro interno,
recentemente è stato trovato un cetaceo deceduto con oltre 22 kg di questo
materiale nel suo stomaco. Difficilmente però i cetacei muoiono direttamente
per la plastica, a differenza delle tartarughe, ma resta comunque un problema,
una concausa che debilita l’animale fino alla sua morte. Il problema è nell’assorbimento
di nutrienti a livello intestinale, infatti la plastica va ad occupare spazio nel
sistema digerente debilitando l’animale. Un animale selvatico in queste
condizioni viene attaccato da molti parassiti e soprattutto da malattie, non
potendo reagire a batteri, virus ed infezioni. Cosa può fare ognuno di noi per arginare il problema? Possiamo cambiare modo di pensare, cambiare mentalità e
quindi cambiare comportamento. La prima cosa da fare è sempre chiedersi qual è il
mio impatto, la mia impronta ecologica nel mondo o, in questo caso, nel mare.
Ogni volta che prendo un oggetto di plastica monouso, come un bicchierino per
il caffè, lo utilizzo per meno di un minuto… ma se finisce in mare ci resterà
per oltre 1000 anni perché non si biodegrada e si frammenta in micro- e
nano-plastica, diventando ancora più dannoso della macro-plastica in quanto
riesce ad entrare all’interno delle cellule, diventando assolutamente
irrecuperabile. Che senso ha che io usi un oggetto che nelle mie mani sta per
meno di un minuto e che starà nell’ambiente per 1000 anni causando danni? Un
minuto, mille anni. Un minuto di piacere per 1000 anni di danni in mare. Questa
è la domanda che bisogna farsi, è davvero necessario prendere quell’oggetto di
plastica? Non esiste un’alternativa meno impattante? Spesso mi viene anche detto: “Ma io la plastica la riciclo perché la metto nella differenziata!”. Peccato che la gente non sappia quanto poco si riesca a riciclare. Quello che noi chiamiamoplasticaè in realtà un insieme di molti polimeri diversi, derivati dal petrolio e che comunemente sono 17. Una bottiglietta di plastica è fatta minimo da 2 polimeri, altri oggetti sono fatti da 4 polimeri. Più polimeri ci sono e meno il prodotto diventa riciclabile. Nel mondo meno del 9% della plastica viene riciclata, il resto viene bruciato, termovalorizzato, buttato in mare. Solo cambiando mentalità si può quindi fare la differenza. Ringraziamo ancora la dottoressa Sabina Airoldi per la disponibilità e vi lasciamo di seguito alcuni link utili per prendere parte a questo ambizioso progetto: