L’età d’oro delle serie true crime, tra fan e polemiche

Serie true crime: tra il successo mondiale e il dissenso delle famiglie delle vittime.


serie true crime

Le serie true crime sono senza dubbio il pezzo forte su cui autori e case di produzione stanno puntando. A titolo esemplificativo, esce il 20 ottobre, su Netflix, Vatican Girl, la nuova docuserie sulla scomparsa negli anni ’80 della giovane Elena Orlandi. La serie presenta nuove interviste e testimoni e tenta di aprire un’altra strada per riportare a galla la verità.

Il genere true crime sta dunque riscuotendo un enorme successo in diverse forme, dai documentari più classici fino ai podcast e ai canali Youtube. Sempre Netflix sta ancora godendo del successo di Dahmer, la serie sul celebre cannibale del Milwaukee, che ha raccolto ben 300 milioni di spettatori

Ma da dove deriva il successo delle serie true crime? E soprattutto, quali dilemmi etici accompagnano la messa in scena di queste storie?

serie true crime
Crediti: Netflix

Omicidi e spettacolo: storia di un grande amore

Sarebbe semplice dichiarare il fenomeno true crime un prodotto alimentato solo dagli amanti dell’horror e del thriller. In realtà incontra un pubblico ben più vasto e variegato.

Il fascino per la cronaca oscura sicuramente non è una novità: sono questi i casi che trovano più spazio nei media e sono anche quelli che si estendono più a lungo nel tempo con continui approfondimenti e nuove dichiarazioni. In particolare, la TV generalista ha contribuito a trasformare i fatti più disturbanti in spettacoli senza fine, sempre riaccesi da nuove ipotesi, opinioni e indizi. Spesso i programmi stessi – pensiamo a Chi l’ha visto? – portano avanti indagini parallele a quelle ufficiali, anche con l’aiuto dei telespettatori da casa.

Se i media tradizionali hanno allenato la nostra attenzione agli svolgimenti delle storie true crime, le nuove piattaforme hanno completato l’opera sfornando prodotti che raccontano il caso nel suo insieme, mettendo ordine al discorso pubblico. Tra i più famosi abbiamo Making a Murderer, sulla storia di Steve Avery, scagionato dopo diciotto anni di carcere per un crimine che non aveva commesso; Amanda Knox, sul delitto di Perugia che risucchiò l’attenzione pubblica italiana e internazionale; e infine Veleno, nato dal libro-inchiesta di Pablo Trincia e trasformato prima in podcast e poi in docuserie.

Oltre a puntare sulla fama di casi ad alto impatto, le serie true crime utilizzano i meccanismi narrativi della fiction per aumentare al massimo il coinvolgimento. La narrazione a episodi, i flashback, l’assenza di una voce narrante onnisciente (per citarne alcuni), rendono sfumato il confine tra realtà e finzione e collocano gli spettatori in una posizione privilegiata, che sia la mente dell’assassino o il cuore infranto delle famiglie delle vittime.

Etica delle serie true crime: perché nascono le polemiche

Se il true crime conta un gran numero di appassionati, è anche vero che spesso nascono polemiche intorno alle nuove uscite. Tornando alla serie su Jeffrey Dahmer, le famiglie delle vittime hanno espresso a gran voce la loro rabbia, accusando la produzione di non aver raccontato i fatti in maniera veritiera e di non averli mai contattati prima dell’uscita della serie per coinvolgerli nel processo. Su Twitter, Eric Perry, cugina della vittima Errol Lindsey, ha definito la serie “ritraumatizzante” per la sua famiglia, esprimendo il suo scetticismo per la necessità di continuare a creare nuovi prodotti sul caso.

Il dissenso riguarda il rischio di spettacolarizzazione del dolore delle famiglie, trasformato in strumento di coinvolgimento emotivo a beneficio delle aziende dell’intrattenimento.

La domanda è la seguente: è giusto riesumare assassini e vittime per creare uno show su cui fare profitto? Sicuramente le serie possono essere potenti mezzi per mantenere viva la memoria dei fatti, ma dove si traccia il limite tra cronaca e mero trend? Non ci sono risposte preconfezionate per risolvere il problema. L’importante è dare ascolto alle voci contrastanti, soprattutto quando appartengono a chi ha vissuto l’orrore e l’angoscia dei casi sulla propria pelle.

Crediti foto copertina: Netflix


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