Genere, (a)sessualità e rappresentazioni: riflessioni a tema LGBTQ+

Inauguriamo il mese del Pride con alcune riflessioni su identità di genere, asessualità e importanza della rappresentazione e del linguaggio.


lgbtq+ copertina

Domani inizia ufficialmente il mese del Pride, la celebrazione annuale che dà spazio e voce alla comunità LGBTQ+ per portare avanti questioni e rivendicazioni in ambito sociale e politico.

Nonostante oggi si presti più attenzione all’inclusività e si sia diffusa una mentalità più aperta, dobbiamo ammettere che esiste ancora molta confusione, di certo non agevolata dalla mancanza di un’informazione adeguata e completa. I dubbi in questo contesto non fanno che rinforzare la percezione di minaccia del “diverso”. Si alimentano quindi stereotipi e pregiudizi che finiscono per allargare il divario intergruppo.

Ho quindi deciso di raccogliere alcune delle questioni che più esprimono lo scetticismo verso l’apertura al mondo LGBTQ+ per provare a discuterne in maniera chiara e concisa. I tre temi principali che affronteremo sono l’identità di genere, l’asessualità e l’importanza della rappresentazione e del linguaggio.

Cos’è l’identità di genere?

“Il genere è quello che hai fra le gambe”

Bisogna fare una precisazione: il sesso biologico è quello espresso dall’anatomia di un individuo; il genere invece è il più intimo senso di appartenenza a una categoria piuttosto che a un’altra. Riguarda anche il ruolo di genere, ovvero la percezione socialmente costruita intorno a queste identità. I due costrutti sono distinti e possono essere divergenti. Quando il genere non coincide con il sesso biologico, si parla di persona transgender. Se coincidono, si parla invece di cisgender.

Ricordiamo che essere transgender non è considerata una condizione patologica. In ambito psichiatrico, si parlava una volta di “disturbo dell’identità di genere”, catalogato come disturbo mentale. Fortunatamente, già a partire dall’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (2013), si è sostituito il termine con disforia di genere. La disforia di genere è un’espressione che si usa per indicare il disagio sperimentato dalle persone che si indentificano in un genere diverso rispetto al sesso assegnato alla nascita, in relazione al proprio corpo e alla percezione altrui.

“O maschio o femmina, non ci sono vie di mezzo”

Assolutamente no. Il binarismo che ricalca la distinzione tra maschio e femmina è un concetto pressoché inventato e soprattutto culturalmente definito. Molte popolazioni al mondo riconoscono l’esistenza di più di due generi, individuandone per lo meno un terzo assimilabile alla categoria genderfluid, un’identità di genere che oscilla lungo lo spettro. Riprendendo quello che abbiamo detto prima su sesso e genere, la divisione maschio/femmina si riferisce perlopiù al sesso, mentre il genere è un costrutto più fluido e meno categorizzabile. Esistono ad esempio persone che non si identificano in nessun genere specifico (agender) e persone con identità né strettamente maschili né strettamente femminili (non-binarie).

Per la precisione inoltre, sappiamo che nemmeno il sesso biologico è sempre definibile in senso binario. Esiste infatti una percentuale di popolazione, tra lo 0,05% e l’1,7%, intersessuale, ovvero nata con caratteri sessuali primari o secondari non completamente riconducibili a quelli maschili o femminili. L’intersessualità non né un orientamento sessuale né un’identità di genere, ma soprattutto non è una malattia. Essa infatti, nella maggioranza dei casi, non comporta complicazioni per la salute. Tuttavia, chi ne è caratterizzato subisce spesso una pesante medicalizzazione per allineare espressione anatomica e identità di genere, anche senza il totale consenso informato del soggetto. Anzi, spesso ciò avviene addirittura in fase neonatale.

lgbtq+ - identità di genere

Cos’è l’asessualità?

“L’asessualità non esiste, è solo frigidità”

Esiste una parte della comunità LGBTQ+ che si indentifica come asessuale, ovvero con attrazione sessuale scarsa o nulla, a prescindere dal genere o dal sesso. Per attrazione sessuale si intende la percezione di una persona come sessualmente piacente e la volontà di averla come partner sessuale. L’attrazione sessuale non è la stessa cosa della libido. Quest’ultima invece indica in generale il desiderio di fare sesso e di ricercare il piacere sessuale. Una persona asessuale può avere, come chiunque, un livello più o meno alto di libido senza comunque trovare nessuno sessualmente attraente.

Essere asessuali non vuol dire necessariamente non volere una relazione romantica, visto che attrazione sessuale e attrazione romantica non sono la stessa cosa ed esistono indipendentemente. Il mancato interesse per le relazioni romantiche si definisce aromanticismo.

Senza scendere nei dettagli delle diverse etichette, precisiamo che anche l’asessualità è uno spettro. Ognuno la vive in modo diverso sperimentando diversi gradi di interesse sessuale e scegliendo se e come vivere la propria vita sessuale.

“Se sei asessuale e fai sesso sei incoerente”

L’incrocio tra asessualità e comportamento sessuale è forse il punto più spinoso per chi si approccia alla questione. Partendo sempre dal presupposto che l’asessualità non ha delle caratteristiche standardizzate, una persona asessuale può avere diversi orientamenti nei confronti degli atti sessuali: negativo, neutro o positivo.

Le persone asessuali sex-favorable possono sperimentare sessualmente per una serie di ragioni: ricerca del piacere fisico, costruzione di un legame con un* partner o tentativi di concepimento. Ciò che rimane costante è proprio il modo diverso di sentire l’attrazione sessuale, che rimane in ogni caso più bassa rispetto alle persone non asessuali. Il fatto che asessualità e sesso siano due mondi impossibili da incrociare è una credenza comune, dettata da una mancata comprensione della complessità degli orientamenti sessuali e delle diverse componenti emotive, normative e sociali che ruotano intorno al sesso.

Crediti: Taking the Cake: An Illustrated Primer (Maisha)

Quanto è importante la rappresentazione inclusiva e il linguaggio?

“Sono contro i personaggi LGBTQ+: non voglio che mi* figli* diventi gay”

Anche se i modelli di apprendimento hanno certamente un’influenza sui bambini, il fatto che siano esposti a rappresentazioni LGBTQ+ non significa che svilupperanno necessariamente attrazioni non-etero o che cambieranno improvvisamente idea sul proprio genere. L’orientamento sessuale e l’identità di genere sono caratteristiche che un individuo scopre ed esplora a partire dalle esperienze con il proprio corpo, la propria psiche e nell’interazione con il contesto di vita.

L’aspetto positivo invece è che la varietà di esempi contribuisce a sentirsi più a proprio agio nell’esplorare le proprie identità. Poiché si creano rappresentazioni mentali a cui è facile accedere e con cui ci si può confrontare. Inoltre, introdurre i discorsi sull’inclusività nell’ambiente sociale educa al rispetto per il prossimo ed evita il rinforzamento degli stereotipi, che si alimentano proprio grazie alla mancata informazione. I personaggi LGBTQ+ non sono quindi esclusivamente un politically correct, bensì una bussola per comprendere meglio sé stessi e gli altri intorno. Ciò è indispensabile in un mondo variegato in cui idee e immagini circolano liberamente, a velocità impressionante e in quantità difficilmente digeribili.

Fr*cio è solo una parola e ho il diritto di dirla

Fr*cio e i suoi sinonimi sono detti slurs, ovvero epiteti negativi rivolti ad un determinato gruppo sociale. La particolarità di questi termini è che veicolano un doppio insulto. Sia verso il singolo a cui è rivolto sia verso la categoria a cui questo appartiene. Il danno emotivo e sociale è a sua volta doppio ed è dimostrato da diversi studi.

Utilizzare “fr*cio” e affini come offesa significa implicare che appartenere a quella categoria sociale sia di per sé sufficiente per essere oggetto di denigrazione. Le implicazioni, quando si parla di linguaggio all’interno di una società, hanno un grosso peso nella costruzione delle credenze comuni. Ad esempio, alcuni studi hanno dimostrato che l’utilizzo di epiteti negativi omofobi porta a una maggiore deumanizzazione e distanza dalle persone gay.

Parlare di libertà di parola associandola al fantomatico diritto all’insulto suona paradossale, perché scegliere deliberatamente di ferire significa contribuire al prosperare di un mondo in cui, evidentemente, non a tutti spetta la libertà. E no, non va bene nemmeno se usiamo gli slurs in modo goliardico e se qualcuno fa leva su questo tipo di ironia. Forse è il caso di fermarci a riflettere su chi davvero sta ridendo.

Il linguaggio plasma il modo in cui pensiamo e interpretiamo la realtà, quindi è essenziale renderlo il più egualitario e inclusivo possibile. Sul tema dell’inclusività, qui abbiamo parlato dell’uso della declinazione di genere neutra.

Princess Bubblegum e Marceline di Adventure Time

Qui si conclude la nostra carrellata di riflessioni LGBTQ+, che spero abbiano reso più chiari alcuni concetti e soprattutto abbiano suscitato la vostra curiosità.

Credo che la base per affrontare qualsiasi cambiamento sia la consapevolezza, che deriva dallo studio e dall’ascolto di fonti esperte e coinvolte in prima persona nel tema.

Per altre informazioni sulle tematiche legate al mese del Pride, vi consiglio di dare un’occhiata alle grafiche della pagina Instagram @psicologiaunimib, che ringrazio per il loro lavoro di divulgazione.

Buon Pride a tutt*!


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