Intervista | Hasnain Abbas, un pakistano che prova a fare la differenza

Hasnain Abbas, attraverso la sua esperienza e il suo lavoro, racconta di quanto sia importante essere attivi socialmente in Italia.


Hasnain Abbas

Hasnain Abbas, 24enne, è un ragazzo pakistano che dall’età di 10 anni vive in Italia. Hasnain possiede due uffici CAF e Patronato e si occupa di assistenza agli stranieri. Per lui, aiutare gli altri è fondamentale nella vita specie se si tratta di persone che faticano a integrarsi.

In che cosa consiste di specifico il tuo lavoro?

Mi occupo della dichiarazione dei redditi, quindi le ISEE. Poi c’è tutta la parte dell’assistenza fiscale oltre alla previdenza sociale, quindi magari mantenere i contatti con l’IMPS. Per quanto riguarda il Patronato abbiamo a che fare con la disoccupazione, assegni familiari, abilitazioni, inabilità e bonus vari.

Oltre questo fai altro? 

Sì, sto finendo gli studi. A breve dovrei laurearmi in Ingegneria Gestionale. Faccio anche tanto volontariato e ho iniziato quando andavo alle medie. Non sono il tipo che fa le cose in modo passivo infatti, da poco, ho aperto un canale YouTube e una pagina Facebook improntati molto sulla comunità pakistana. Li ho creati per dare una panoramica agli stranieri su com’è la vita in Italia: quali sono le prassi basiche per vivere qui. 
Molte persone, faccio un esempio banale, non sanno leggere una bolletta e io nei miei video lo spiego in modo semplice. Poi, oltre a questo, c’è anche l’obiettivo di dare delle nozioni base della nostra cultura agli italiani. La cultura pakistana, come tutte le culture, presenta aspetti molto belli che spesso i mass media si dimenticano di risaltare. 
Il mio, voleva essere un lavoro bidirezionale. 

Si dice che a Carpi, il paese dove abiti, ci sia una comunità di pakistani e/o musulmani abbastanza ampia. È vero?

Sì, è vero. Penso che dopo Brescia, Carpi sia uno dei posti con il maggior numero di pakistani. 

Secondo te, quanti di questi pakistani non sanno parlare l’italiano?

Se dovessi parlare in termini di percentuale un buon 60-70% non lo sa o non lo sa abbastanza bene da poter avere un dialogo vero e proprio.  

Le fake news sono un fenomeno che tocca anche i pakistani secondo te?

Le fake news sono diffuse anche nella comunità pakistana e le persone ci credono. Durante il periodo del Coronavirus io sono stato uno dei primi che si è occupato di diffondere informazioni a livello locale riguardo alle notizie che giravano. Le traducevo in urdu o le spiegavo in modo semplice per aiutare a capire chi aveva delle difficoltà linguistiche. Poi molte altre pagine Facebook e TikTok hanno iniziato a fare la stessa cosa. Il problema era che chi traduceva le notizie non sapeva parlare bene l’italiano, questo ha contribuito alla nascita e diffusione di informazioni non vere. 

Parlaci meglio del tuo lavoro di traduzione delle notizie

Avendo un ufficio immigrazione molti già mi chiamavano per capire meglio la situazione. Due settimane prima della quarantena ho iniziato a tradurre le notizie e a diffonderle. Lo sto ancora facendo. Su WhatsApp ho creato una lista broadcast e mando delle note vocali così mantengo un contatto diretto con ciascuna persona della lista.

Perché hai deciso di farlo? 

Per prendere il dua (N.d.R. parola in lingua urdu, che può essere tradotta come ricevere la benedizione di/da qualcuno) dalle persone. Scherzo, in realtà una delle mie filosofie di vita è che se io so qualcosa questa cosa è utile non se la metto in pratica ma se la condivido con qualcuno. 

Credi che il razzismo in Italia sia ancora ampiamente presente?

Sì, ma non solo qui. In Pakistan c’è, ma so che non se ne parla tanto. L’Italia non era abituata ad avere diverse etnie e non era nemmeno pronta per l’immigrazione di massa che c’è stata. Il processo doveva avvenire lentamente ma così non è stato e il diverso spaventa sempre. Oltre a questo, era anche un momento difficile economicamente. Anche noi abbiamo le nostre colpe. Noi ci sentiamo ospiti di questo paese, come se un domani ce ne dovessimo andare, quindi non investiamo o non pensiamo a lungo termine. Tanti dei nostri genitori pensano che da qui ce ne andremo. Questo è sbagliato, io so che morirò qua e devo adattarmi.   

Onestamente, credi che anche i pakistani possano essere razzisti verso gli italiani?

Assolutamente sì. Spesso i nostri genitori criticano come si vestono gli italiani, come si comportano, spesso non li invitiamo a casa, non mangiamo allo stesso tavolo con loro. Sono atteggiamenti veicolati da presunte ragioni ideologiche e religiose che non esistono. 

Quali sono, secondo te, gli stereotipi che i pakistani hanno verso gli italiani? 

Te ne dico uno che è così sottile da non passare neanche per stereotipo: gli italiani sono persone a cui non importa niente dei loro genitori e parenti. Ma questa cosa non è vera. Io conosco molti italiani che vogliono un bene dell’anima ai propri familiari.

Ti sei mai sentito vittima di razzismo e/o stereotipi?

Ma sì, sai quante volte. Un episodio far i tanti risale a poco tempo fa: ero in treno dopo le lezioni all’università e il treno era affollato, erano le 14:00. Mi sono seduto e c’erano tre posti liberi vicino a me. Gli unici tre liberi. A un certo punto è arrivata una signora che stava per sedersi ma poi mi ha visto in volto e ha notato che ero scuro, allora è rimasta in piedi per tutto il tragitto. E quei tre posti sono rimasti vuoti. Io ero comodo ma mi sentivo anche come se avessi la peste bubbonica. 

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Ritornando alla questione della lingua italiana, secondo te che tipo di pakistani fanno fatica o non vogliono apprendere la lingua?

Penso che si tratti di pakistani al di sopra dei 16 anni. Da noi a quest’età sei già adulto. Spesso sono persone analfabete, con poca istruzione che non sanno né l’urdu né l’inglese e allora come possiamo pretendere che imparino l’italiano così su due piedi? Qui, queste persone, lavorano e non si possono permettere di iniziare a studiare. C’è un altro fenomeno che spesso ci impedisce d’imparare la lingua del posto: noi ci ghettizziamo e passiamo il tempo solo con altri pakistani.

Verso le zone di Carpi l’integrazione tra le varie etnie c’è? 

Sì, non a caso c’è la Consulta per l’integrazione di Carpi di cui io faccio parte ed è una consulta che include rappresentati di tutte le comunità. A livello quotidiano e nel piccolo, poi, ci sono tanti giovani che studiano e provano a integrarsi. 

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Areeba Aksar

Conosciuta come Ary, è nata a Kotli nel 1999. Studia Scienze Psicosociali della Comunicazione alla Bicocca. Apprezza i libri usati, gli indelebili per scrivere cose permanenti e i dialoghi dei film che non ti scordi. Soffre di meteoropatia estiva, se potesse vivrebbe da qualche parte in Quebec.

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