SanPa, la docuserie Netflix sulla comunità di San Patrignano


San Patrignano

Quello che sono, lo sono anche grazie a Vincenzo e a San Patrignano, ma mi tocca riconoscere, che lo sono anche nonostante Vincenzo, e nonostante San Patrignano

Questa frase è stata pronunciata da Fabio Cantelli, intervistato e testimone nella docuserie SanPa, uscita il 30 dicembre 2020 in esclusiva su Netflix. L’intervistato ha saputo esprimere a parole il mondo, a volte discordante, della comunità e ciò che ha lasciato in chi ne ha preso parte.

Gli esordi

Per comprendere meglio la vicenda è opportuno contestualizzare il periodo. Siamo nell’Italia degli anni’70: una fase di rivolte studentesche, di attentati, di disordine e instabilità politica. Le piazze delle città pullulano di ragazzi dalle diverse idee politiche, che spesso riflettono il loro modo di vestire. La giacca di pelle, gli occhiali Ray Ban e le polo Lacoste caratterizzano chi si sente “di destra”; mentre i giovani di sinistra indossano spesso scarpe simili alle Clarks, maglioni di taglia abbondante.

Il paese viene sommerso da ondate di eroina a basso costo e, davanti alla droga, non esistono più distinzioni politiche; i fascisti si ritrovano insieme ai comunisti e viceversa. I giovani iniziano a far uso di stupefacenti senza la dovuta informazione da parte dello Stato , e ciò che è peggio, è che non esiste nessuna rete sociale o sanitaria che sappia venir incontro a loro e alle difficoltà delle famiglie.

Entra così in gioco Vincenzo Muccioli, un giovane della borghesia agraria romagnola, che decide di convertire la cascina di proprietà della famiglia, situata nel comune di Coriano in provincia di Rimini, in una comunità per il recupero dei tossicodipendenti. Muccioli dà l’idea di essere un gigante buono, dallo sguardo penetrante e con dei caratteristici baffi neri. A prima vista, ricorda un po’ i divi del cinema dei film di Federico Fellini. Da giovane non aveva mai amato studiare, ma era un uomo dalle mille risorse e con molti interessi, spesso bizzarri, come: l’esoterismo e lo spiritismo, la vita di campagna e i cavalli di razza. Senza indugi, decide di farsi carico della “feccia della società” di cui nessuno si voleva occupare, e promette di liberare i giovani dalla tossicodipendenza attraverso i, molto contestati, “metodi” della comunità.

Le complicazioni

In questo centro di recupero, inizialmente non vi erano figure mediche competenti, gli ospiti non erano pazienti ma “figli”, non venivano utilizzati medicinali, ma, come disse Muccioli stesso «iniezioni di amore», intrugli di erbe e massaggi. Tutte tecniche che ricordano le sette religiose nei film, invece siamo in Italia ed è tutto vero. Il metodo di Muccioli però pare funzionare, infatti attorno a San Patrignano si inizia a creare sempre più interesse e il numero degli ospiti cresce a vista d’occhio.

Nella vicenda prendono parte personaggi italiani molto noti: i coniugi Gian Marco e Letizia Moratti, finanziatori del progetto, Paolo Villaggio, il giornalista Red Ronnie e molti altri. San Patrignano si ingrandisce, fino a diventare la comunità per tossicodipendenti più grande d’Europa. Nell’ottobre del 1980, però, l’opera di benevolenza creata da Vincenzo inizia a ricoprirsi di ombre.

Viene scoperto che, a San Patrignano, si usano minacce, spesso violentissime, si trattiene con la forza chi cerca di scappare. Iniziano quindi i primi processi e le prime accuse. Davanti alla legge, Muccioli è riconosciuto come colpevole, ma l’opinione pubblica lo acclama, gli italiani lo amano, perché è l’unico in grado di salvare dalla morte certa migliaia di giovani. Col crescere delle dimensioni della comunità, Vincenzo diventa sempre più popolare e non è più in grado di occuparsi personalmente dei suoi “figli”. Decide quindi di creare una gerarchia autoritaria e opprimente, che gli sfugge di mano. La vicenda termina nel 1995, l’anno della morte del fondatore. Ad oggi, la comunità prosegue la sua attività, ma, sul sito ufficiale, è stata pubblicata una nota in cui viene espresso il dissenso nei confronti dei fatti narrati nella serie.

Il dilemma

Sanpa è nata da un’idea di Gianluca Neri, con l’aiuto di Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli. La serie è stata girata da Cosima Spender, facendo affidamento su 180 ore di interviste, 25 testimonianze e immagini provenienti da 51 archivi. Nel momento in cui lo spettatore inizia a unire i puntini, a tendere verso il bene o verso il male, tutto improvvisamente cambia. Accade qualcosa che stravolge la situazione e che obbliga, il pubblico, a riconsiderare l’intera vicenda sotto una luce diversa. Dove sta la verità? Ma soprattutto, fino a che punto ci si può spingere per fare del bene? E’ questa la domanda che riecheggia per tutta la durata della serie.

Di seguito, alcuni link utili:

Articolo di Sara Lualdi


Sara Lualdi

22 anni, laureata in Comunicazione Interculturale all'università Milano - Bicocca. Adoro scrivere, fare fotografie e mi piace rimanere aggiornata sulle novità nel mondo della cultura. Se potessi vivere in un film, sceglierei "Il favoloso mondo di Amélie".

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