Intervista | I Boschi Bruciano: l’insofferenza, il peso e la volontà di aver scelto il rock


I boschi bruciano

In occasione dell’uscita dell’album di debutto Ci pesava, per l’etichetta Bianca Dischi, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Pietro, cantante e chitarrista del gruppo indie rock cuneese I Boschi Bruciano.

Innanzitutto, complimenti per il disco! Da dove deriva la scelta di chiamarvi I boschi bruciano, nome con un impatto molto forte, anche da un punto di vista climatico e ambientale?

Sia il nostro precedente nome Qwercia che I Boschi Bruciano sono direttamente collegati al mondo della natura e legati anche al nostro background visto che siamo ragazzi della provincia di Cuneo, circondati da piante e non molto altro. Affacciarsi al panorama delle città per noi è sempre stato totalmente un altro mondo, lontano dal nostro. Ci sembrava giusto che nella caratterizzazione del nome ci fosse appunto questo tema, che è stato ricorrente nelle nostre vite. Il termine bruciare, inserito poi in riferimento ai boschi, ha più di un significato: da un lato il tema di attualità è stato importante, perchè abbiamo voluto che il nome rappresentasse una determinata situazione e momento storico; da un altro punto di vista rappresenta il carattere più personale e introspettivo. I boschi bruciano dal desiderio di farsi sentire, oppure come idea che le cose accadono quando meno te l’aspetti.

Per quale motivo avete cambiato il nome da Qwercia a questo attuale?

Ci chiamavamo Qwercia, senza sapere dell’esistenza del gruppo punk sardo Quercia, che quasi contemporaneamente a noi fece uscire nel 2016 il primo singolo, circa due mesi dopo l’uscita nel nostro EP. C’è stato questo caso di omonimia e a partire con la collaborazione con Bianca Dischi, abbiamo deciso di sganciarci dal filone emo-corde da cui siamo partiti e rinominare il progetto, visto anche che i Quercia stavano iniziando ad avere successo.
Ci sembrava giusto ricominciare ad approcciarci al mondo underground con un nome che ci rappresentasse in pieno come I Boschi Bruciano.

Interessante la scelta del titolo dell’album Ci pesava, dove utilizzate un verbo al tempo passato. Qual era il vostro peso, le vostre preoccupazioni nella vita prima di questo debutto e quali sono quelle attuali?

Il disco è stato chiamato così perché nell’anno che ha preceduto la registrazione e mixaggio, la band aveva questo peso di dover fare uscire il primo lavoro, con tante aspettative da parte nostra, poca esperienza in studio che ci ha occupato moltissimo tempo. Finito il tutto, questo nome è venuto naturale. Da un punto di vista un po’ più concettuale, Ci pesava indica il bisogno che avevamo, come gruppo, di qualcosa che ci riunisse, come un disco, verso un obiettivo specifico. Tutti noi vogliamo fare i musicisti nella vita, ma, prima di poterci concentrare esclusivamente su questo, abbiamo continuato a fare altri lavori per poterci permettere di investire i soldi nell’avvio di una band.

In un periodo nel quale molti artisti tendono a volersi fare pubblicità molto di più grazie all’uscita di singoli, da dove è nata l’esigenza di voler pubblicare un prodotto completo e finito? Possiamo considerare le 12 tracce come parti del racconto di un’unica storia o come elementi da considerare singolarmente?

Il nostro disco ideale, come quello che abbiamo realizzato, rientra nel cosiddetto concept album, dove c’è un filo conduttore che lega tutte le tracce in un unico prodotto organico. Non abbiamo mai amato le raccolte di singoli brani, volevamo un’ evoluzione a livello emotivo e di sensazioni nel corso dell’ascolto. Tutti i nostri lavori in studio preferiti ti accompagnano in un viaggio dall’inizio alla fine. Abbiamo comunque pubblicato dei singoli diverso tempo prima, un po’ con l’esigenza di farci conoscere e di avere qualcosa fuori. A livello complessivo però sì sono tutti collegati concettualmente, forse anche perché noi stessi ci consideriamo legati alla vecchia scuola e vorremmo fare i dischi come una volta.

In questa epoca come la nostra dove tutto è immediato e tangibile, c’è la necessità di pubblicare delle canzoni che suonano come singoli per cercare di ottenere l’attenzione degli ascoltatori, cosa che è difficile da mantenere per un disco di 45 minuti.

Nei vostri testi parlate di normalità, di sentimenti contrastanti comuni ai giovani, come nel singolo Odio. La vostra voglia di urlare al microfono queste emozioni deriva anche dal fatto di provenire da un contesto come quello della provincia, dove spesso ci si sente oppressi e dal quale si vuole scappare?

La rabbia è alla base del progetto e deriva dalla frustrazione del luogo in cui viviamo; questo sentimento è causa delle paranoie e malesseri che hanno portato a questo disco. Si capisce subito quali sono gli artisti che vengono dalla provincia perché c’è un’insofferenza di fondo evidente, un modo di approcciarsi alle cose diverso, dove non c’è una città che ti aiuta ad emergere. Il modo in cui ci approcciamo alla musica è legato assolutamente alla provincia di Cuneo, dove le altre realtà di gruppi presenti fanno musica in maniera anche più pesante rispetto a noi, come gruppi punk o metal.

Mio fratello Vittorio, batterista della band, ed io abbiamo suonato per anni in un gruppo hard core punk in tutta Europa. Siamo cresciuti con questo modo di far musica con una impronta rock, anche se abbiamo ascoltato cantautori indipendenti italiani.

Quali sono allora le realtà musicali che sentite più vicine a voi?

Sicuramente se vogliamo parlare di gruppi davvero importanti ti cito i Zen Circus, Ministri, Fast Animals and Slow Kids; altri storici artisti che provengono dalla provincia sono i Fine Before You Came e Gazebo Penguins, mentre tra i nuovi i Gomma, che abbiamo seguito dai loro esordi, e gli stessi Quercia. Ascoltiamo e ci interessiamo a progetti molto piccoli: abbiamo creato una playlist su Spotify Pezzi che bruciano, che racchiude realtà interessati per il pubblico interessato al rock underground.

Ascoltando il brano Scegliere un’indole ho ritrovato un diretto collegamento con la società nella quale siamo inseriti, che ci vuole rendere tutti uguali e dove, nel caso della musica, la maggior parte delle proposte musicali sono pop. Quanto è stato importante e difficile per voi aver scelto una strada alternativa, diversa da quelle usuali?

Suonare in una band come la nostra e cercare di uscire dal seminato è difficile; allo stesso modo però è complesso in qualsiasi caso e per qualsiasi lavoro. Scegliere un’indole parla proprio di questo e la canzone è nata da una domanda che ci siamo posti: Ma se provassimo a scegliere un’indole diversa cambierebbe il nostro modo di essere e forse riusciremmo a stare meglio?

Una delle frasi alle quali siamo più legati è Scegliere un indice che mi lasci vivere un giorno e poi un altro. Questo ritornello lancia un messaggio utopico, ossia del voler trovare la forza di riuscire a cambiare noi stessi nei momenti di debolezza totale, far sì che la sofferenza, derivata dal provare ad uscire dalla solita strada, cessi, in modo da ingannare il malessere.

C’è una traccia del disco alla quale sei più legato e che consiglieresti al pubblico?

Il mio pezzo preferito del disco è senza dubbio L’ultimo istante. Lo potremmo definire un anti-singolo, considerata anche la intro strumentale, e sicuramente non sarebbe una scelta commerciale di promozione del disco. Però è stata la prima canzone in cui sono riuscito a cantare senza suonare e perché è un brano semplice, con strofa ritornello, che però non ricade nel banale e già sentito. Questa canzone l’ho scritta in un’ora e mi è subito sembrato che potesse funzionare. È un brano riuscito, venuto fuori in maniera spontanea, che mi carica molto di pathos.

Noi non potremo cambiare / La nostra strada / Inizia qua. Grazie a parole, tratte dal brano Australia, ho interpretato l’inizio della strada come l’inizio dei live di presentazione del vostro lavoro. Cosa dobbiamo aspettarci dai vostri concerti? Immagino possano essere le migliori realtà dove mostrare al meglio la vostra musica e voglia di fare rock, anche se sembra difficile trovare locali che ti permettano di farlo.

Il problema di partenza è questo perché la musica fatta in questo modo deve essere suonata nei locali attrezzati, che in un luogo come l’Italia, è sempre più difficile trovare, soprattutto per gruppi emergenti come il nostro. Noi cerchiamo di far di tutto per creare le condizioni migliori per portare i nostri pezzi dal vivo perché questo è proprio l’obiettivo finale di chi realizza musica. Il nostro disco non ha sovra incisioni, tutto ciò che si sente verrà rifatto dal vivo. Ai concerti ci si abbraccerà, si salterà e si suderà tanto, come a tutti i concerti rock.

Ringraziamo Pietro per la disponibilità e Conza Press per l’opportunità di realizzazione di questa intervista.
I Boschi Bruciano faranno tappa a Milano il 5 dicembre per un concerto al Circolo Ohibò.


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