Intervista | Giulio Zambon: il poeta da supermercato e i suoi ritratti

Giulio Zambon è scrittore e poeta italiano. Autore di due libri e un terzo in arrivo, ci ha dedicato il suo tempo per fare quattro chiacchiere sul suo stile di scrittura e i contenuti che tratta.


Immagine Giulio

Giulio Zambon, classe 1998, è un giovane scrittore e poeta. Il suo primo libro, ehi tu compra questo libro e dammi i tuoi soldi è uscito nell’estate del 2019 e l’anno successivo è nato ritratti. Sta lavorando a un nuovo progetto letterario ma nel mentre abbiamo fatto quattro chiacchiere sul suo innovativo stile di scrittura e i contenuti che tratta. 

In ehi tu compra questo libro e dammi i tuoi soldi dici che non dovremmo leggere solo di “mare vento alba” ma anche di “sconto minimarket discount”. Sembra che la poesia vada di pari passo con la società, quindi che cosa le accadrà tra 50 anni?

C’è un autore che si chiama Adorno, lui sosteneva che dopo l’olocausto la poesia non avrebbe più potuto esistere. Io sono molto contrario alla sua affermazione perché penso che sia proprio nel nucleo di queste cose che la poesia nasce. 

Ho avuto una piccola intuizione che ho messo dentro a ehi tu compra questo libro e dammi i tuoi soldi. Stavo tornando in bicicletta da casa della mia ragazza. Indossavo un cappellino rosso e questo giubbotto verde -che in realtà è una di quelle cose per imbottire l’impermeabile- quando ho realizzato che tutta la letteratura doveva essere riletta. Ma anche i temi devono essere sempre riletti in una chiave contemporanea ed è per questo che dico non solo “mare vento alba” ma anche “sconto minimarket discount”, perché la poesia deve tornare a essere utile per noi. Lo è sempre stata, soltanto che a volte sembra essere delle decorazioni fatte da scrittori come Petrarca. E questo è totalmente il contrario di quanto dice Hemingway, ovvero che la letteratura deve essere anche architettura e non decorazione d’interni. 

Quando ti accorgi che quello che stai leggendo è davvero testimonianza di una grandissima ferita, di qualcosa di profondo, che magari è remoto ma ancora vivo, allora puoi non leggermi più, perché sei arrivato a uno dei nuclei che davvero mi interessa: poesia come cosa davvero utile. 

Sempre in ehi tu compra questo libro e dammi i tuoi soldi hai inventato un nuovo termine: la discountologia.

Ho provato a mettere su Wikipedia questa definizione perché l’autore di quel libro è piuttosto megalomane e autoritario ma non è stata accettata. Quel giorno in bicicletta mentre indossavo il cappotto-non cappotto ho voluto dare un nome alla mia intuizione.

Vedi, dare un nome alle cose ci permette di possederle a livello materno, come una madre che dà il nome ai propri figli.
Ho studiato e letto l’ultimo romanzo di Carlo Emilio Gadda, La Cognizione del Dolore. Nell’ultima pagina del libro, Gadda dice che sua madre è in questa stanza morente, che non sa più dire “io” e nel mentre racconta dell’alba suscitata dal gallo che canta e accedendo elenca i gelsi. Se pensi a questo elencare immagini, l’alba che uno a uno tocca i gelsi, quindi li illumina. Elencare dal greco significa indagare/scoprire. 

Illuminare significa togliere dall’ignoto, ovvero conoscere, e quando conosciamo qualcosa smettiamo di averne paura. Dare un nome alle cose ci permette di voler loro bene anche se sono pericolose e spaventose. Quindi con il termine discountologia sto dicendo che dobbiamo voler bene al consumo. 

Tu dici che chi ama non dovrebbe essere un turista e alla fine i turisti sono consumatori. 

Quando sono andato a Santorini (isola più meridionale dell’arcipelago delle Cicladi, nel mare Egeo. N.d.R.) con la mia ragazza, ci siamo ritrovati ad assistere al tramonto. È una cosa incredibile, c’è il sole che piega il cielo. E le persone si accalcavano per vederlo, diventavano violente solo per poterlo fotografare. Dentro questo turismo del tramonto ci ho visto la morte del tramonto stesso, perché così tu provi a diventare una divinità che cerca di essere più grande della bellezza. Vuoi poter rivedere il tramonto, spedirlo ad altri ed espropri questo fenomeno della sua bellezza perché la incastri nel rettangolo di uno smartphone.

Non essere 1 turista di corpi (verso preso da una delle sue poesie di ehi tu compra questo libro e dammi i tuoi soldi N.d.R.) significa non vivere l’amore come qualcuno che va a Santorini e fa una foto rettangolare al Sole. Io mi chiedo, non è meglio uscire dai 16:9 del cellulare? 

Sulla biografia di ritratti c’è scritto che consegni a domicilio i tuoi versi, in che senso?

Quando è uscito ehi tu compra questo libro e dammi i tuoi soldi, nell’estete del 2019 ho portato il libro alle persone che me lo chiedevano direttamente a casa se si trovavano nei dintorni di Ferrara (dove Giulio ha studiato e vive N.d.R.) o Schio (città dove è nato N.d.R.). Poi, anche per via del COVID, ho smesso.

Tu ti ritieni anticonvenzionale come scrittore/poeta? 

No, non credo. Le metodologie di lavoro non sono poi molto diverse anche se non ho trovato molti poeti che abbiano scritto seriamente di centri commerciali. 
Però un poeta si sente sempre un po’ anticonvenzionale e forse anch’io vorrei sentirmici ma la letteratura, secondo me, non può esserlo fino in fondo cioè non c’è nessuna convenzione a cui anteporre un’anti perché stiamo parlando di noi e non possiamo tradirci più di tanto.

Nel mio nuovo libro ho scritto una sezione molto densa che parla di Lisa Montgomery, che ha ucciso una donna per rubarle il feto ed ha avuto una storia molto complicata quindi forse sì, questo è anticonvenzionale però stiamo sempre parlando delle vicende umane che non sono mai nuove. Vai a leggere una qualsiasi tragedia greca e questa cosa di Lisa sembra una bazzecola in confronto. 

Autore di ritratti

Tu usi i social in maniera particolare, offri un servizio gratuito di letteratura via WhatsApp che chiami i da leggere sul wc. Questo significa che rendi disponibile il tuo numero di telefono a praticamente chiunque e oggi ancora titubiamo nel farlo specie, se non sappiamo nelle mani di chi potrebbe finire. 

Penso che la poesia sia spalancare le porte al privato e al personale dello scrittore, quindi lasciare il proprio numero mi sembra la cosa meno pericolosa da fare. 
Quello che mi ha stupito è che le persone poi mi hanno dato il loro, cioè mi hanno scritto un messaggio per dire che volevano ricevere i da leggere sul wc quindi in automatico ho ottenuto il loro numero. 

L’idea dei da leggere sul wc mi è venuta in mente pochi giorni prima del lockdown, forse era il 2 marzo 2020 e non sapevo che la vicinanza fisica sarebbe stata rubata da lì a poco. Questo progetto, quindi, ho iniziato a percepirlo come importante. Tante persone mi hanno scritto ringraziandomi per i miei messaggi che non hanno una cadenza regolare, però sono un luogo fisso in cui si può tronare. Da leggere sul wc sono una cosa fatta per te che sei dall’altra parte perché mando il messaggio manualmente e non in broadcast. Ci sono circa 120-127 persone che usano questo servizio, quindi ogni volta mi va via un’ora abbondante. 

L’automatizzazione è più facile, perché sprecare un’ora per mandare un messaggio specie se magari dall’altra parte questo sforzo non si percepisce? 

La chiave per uscire dal meccanismo dell’automatizzazione sono la fatica e la noia, due cose che in realtà stiamo cercando di eliminare dalla nostra vita. Oggi, ogni cosa si velocizza, è più breve. Attraverso la fatica e per certi versi anche la noia di mandare questi messaggi, si divarica un momento che è intenso e pieno di qualcosa che non so identificare e che ti fa dimenticare che stai facendo del consumo perché in realtà non è più così. 
Questo processo ti aiuta a voler bene e quindi a capire l’altra persona. Alla fine, la letteratura è anche questo. 

Parliamo del tuo secondo lavoro. Ritratti è un libro fatto di particolari.

A ritratti mi sento ancora molto vicino perché non ha una trama, è come la vita. Tra l’altro l’ho scritto tutto durante il lockdown. Dentro il libro c’è questa signora che attraversa la strada e ho scritto che è crocifissa a delle buste della spesa. Ora, io non so la sua storia ma Frenk B. (scrittore e amico di Giulio N.d.R.) mi ha detto che attraverso questi particolari capisci 30 anni della vita di una persona. Ritratti, poi, appartiene al discorso della fatica perché quei racconti, per scriverli, ci impiegavo moltissimo. Esigevo un sacco da me stesso, cercavo la parola giusta che aderisse al particolare. Il poeta Milo de Angelis dice che la parola poetica è una parola che ha compiuto un lungo cammino e per me è stato proprio così. 

Pensando a ritratti mi è venuta in mente la figura di Mr Gwyn, un personaggio letterario che disegnava tramite le parole. Tu non descrivi le persone fisicamente, eppure riesci a ritrarle.

È vero che non descrivo le persone fisicamente e l’ho fatto perché mi è sembrato il solo modo onesto di approcciarmi alle cose. A un certo punto parlo di quest’uomo che guarda una partita di calcio e indossa una tracolla che si sistema, io di quella persona posso sapere solo questo. È un modo per capire i propri limiti. Ritratti è un libro contro il simbolismo, non c’è un secondo significato o una metafora dietro le parole che ho usato. All’epoca pensavo che una parola fosse quella parola e basta anche se ora sto un po’ cambiando idea. La letteratura può essere solo un’intersezione tra due rette che si intersecano in un punto, capire quel punto significa capire ritratti

Ho letto poco di Baricco però hai fatto bene a fare questo collegamento perché in ritratti c’è molto del disegnare che appartiene al visivo e durante la quarantena vedevo le cose da lontano, quindi questo era il mio modo di approcciarmi al mondo. 

Secondo te chi scrive è più un osservatore o più una spia che guarda, una sorta di guardone? 

Nel mio caso forse penso di fare dello spionaggio. Un po’ di tempo fa praticavo Street photography. Andavo a fotografare le cose e le persone da vicino.  Questo ti mette a disagio. Quando scrivi un racconto o una poesia ti senti meno invasivo perché non c’è il mirino che inquadra la persona però io che scrivo so cosa sto facendo e mi sento un intruso. Eppure, è giusto che sia così perché se non entri nella vita degli altri non puoi parlare di quell’intersezione. Poi molte cose sono osservate e basta però l’intenzione era quella di fare della letteratura un atto di bonario spionaggio.

E gli autoritratti che ci sono? 

Forse sono i meno riusciti, forse non ero in grado di spiare me stesso. Cosa che, invece, ho fatto nel prossimo libro e che spero si chiamerà usa e getta
In un da leggere sul wc ho scritto che la poesia ha soltanto una direzione: dentro e ancora più dentro. E in ritratti non ci sono riuscito.

Usa e getta sarà una raccolta di poesie? 

Sì, per molti mesi non sono stato in grado di scrivere in versi. La poesia accade, non puoi farci nulla. Al massimo puoi abbassare la temperatura e aspettare che la neve cada. 

Che cos’altro ci puoi spoilerare di usa e getta

È una bomba. C’è questa scena di un film con Keanu Reeves (John Wick: Chapter 3 – Parabellum del 2019 N.d.R.) in cui lui uccide una persona con un libro. Ecco, sento che usa e getta possa fare lo stesso perché sta uccidendo me, mi fa paura quando lo rileggo. Roberto Galaverni, critico letterario contemporaneo dice che la poesia non va presa per il manico ma per la lama, deve ferire. 
Il libro secondo me è finito e lo sto sistemando in questi giorni, spero che qualche casa editrice lo pubblichi perché sono stanco di autopubblicarmi.  

Mi ha colpito il fatto che tu abbia pubblicato ehi tu compra questo libro e dammi i tuoi soldi con Amazon. L’hai fatto di proposito? 

Sì, sono molto fiero di questa mia scelta ma molti non l’hanno capita perché mi credevano un imbroglione. Dicevano che avrei dovuto stamparlo ma stampare è consumo, allora avrei dovuto scriverlo sui fogli ma anche quelli lo sono, allora forse avrei dovuto scriverlo con il sangue ma persino il sangue è consumo perché da dove viene il coltello che usi per tagliarti? Era un discorso che non finiva più. 

Ho pubblicato con Amazon perché era la cosa più facile e perché era un’operazione che andava oltre al libro stesso. Era un atto terroristico, era entrare nella chiesa del consumo, piazzare questo libro-bomba e aspettare che uccidesse tutti. Okay, io sono uno dallo humor nero quindi se dico questo è solo perché penso che scherzare sulle cose sia un modo per appropriarsene e capirle. 

Giulio, ti faccio un’ultima domanda: cosa vorresti fare da grande? 

Vorrei fare lo scrittore e permettermi di pagare l’affitto con quello. Adesso c’è questa distanza rinascimentale cioè che l’arte, intesa come letteratura, debba essere una cosa gratuita che puoi regalare a chiunque. Secondo me dovrebbe essere pagata perché è una medicina. Non dico che le mie poesie lo meritino ma dico che il lavoro del poeta è un lavoro come un altro e quindi dovrebbe essere retribuito esattamente come un qualsiasi altro lavoro. 

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Trovi i suoi libri qui e qui.


Areeba Aksar

Conosciuta come Ary, è nata a Kotli nel 1999. Studia Scienze Psicosociali della Comunicazione alla Bicocca. Apprezza i libri usati, gli indelebili per scrivere cose permanenti e i dialoghi dei film che non ti scordi. Soffre di meteoropatia estiva, se potesse vivrebbe da qualche parte in Quebec.

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