A volte ritornano: il revival dei vinili


vinili

Vi sarà capitato di passeggiare per strada, scovare un negozio di vinili e venirne attratti irrimediabilmente. Oppure sfogliare senza motivo dei vinili che odorano ancora di umidità delle cantine, riposti in delle scatole di cartone alle bancarelle dietro casa. Ma come mai? E perché oggi questo supporto fisico è tornato così di moda?

Oggi, con il termine vinile, si fa riferimento comunemente agli LP (o Long Playing), cioè dei dischi da circa 30 cm che ruotano a 33 giri al minuto. Fino agli anni 70 del secolo scorso il vinile ha rappresentato il supporto più utilizzato e diffuso per la produzione audio di materiale registrato. Il suo primato nel mercato musicale è stato intaccato negli anni 80 dalle musicassette e poi dai CD, nel decennio successivo. Negli ultimi anni, il disco in vinile è tornato negli scaffali dei negozi, come prodotto di nicchia per nostalgici dei “bei vecchi tempi” o di amanti del genere. Anche in Italia, la produzione e la vendita del vinile hanno ripreso di quota.

Qualche dato

Secondo una ricerca di mercato condotta da FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana), nel primo semestre del 2019, lo streaming musicale ormai da solo aveva (ed ha ancora) il primato sui ricavi dell’industria discografica italiana, mentre il fisico era in declino. Niente di nuovo per ora, tranne che per il vinile: con l’incremento del 4,8% ha coperto il 31% di tutto il mercato dei supporti fisici. Anche con la pandemia mantiene salda la sua posizione, coprendo il 5% del mercato, mentre tutti gli altri supporti fisici crollano (il CD addirittura dimezza).

Il revival del vintage

Probabilmente è “colpa” di quell’aria un po’ retrò che si portano dietro, oppure della nostra convinzione di essere nati negli anni sbagliati. La verità è che i vinili oggi hanno acquisito un nuovo valore. Non è più significativo, soprattutto, il contenuto musicale, ma la grafica accattivante della copertina, il colore del disco.


Ecco, ad esempio, la versione in vinile dell’album K.I.D.S. di Mac Miller, venduto dalla catena di moda Urban Outfitters.

I vinili sono diventati dei veri e propri strumenti di arredo vintage, che spesso si acquistano senza nemmeno possedere un giradischi a casa! Secondo un’analisi della società di ricerca ICM per la BBC, quando acquistiamo un vinile, è assai probabile che non lo poseremo quasi mai prima di un mese sul giradischi per ascoltarlo. Questo perché, comprare o sfoggiare dei vinili a casa, significa volersi identificare con l’immaginario sociale che il disco porta con sé. E’ come se servisse, anche, per definire noi stessi agli occhi degli altri: come appassionati di tempi passati e oggetti antiquati. Un po’ come Gil in Midnight in Paris e la sua attrazione mista a nostalgia per i mai vissuti anni 20 parigini.

Il fascino dei vinili

E’ vero, i dischi in vinile costano, hanno bisogno di manutenzione e di prodotti adatti per essere utilizzati. Non sono pratici e comodi come lo è sbloccare il telefono e far partire la playlist preferita su Spotify. Ma, anche se questa sembra essere una lista di soli aspetti negativi, ve ne sono molti positivi.

In primis, il suono del digitale non è niente in confronto a quello più “morbido” che produce il vinile. Ogni granello di polvere influisce sul risultato finale, la puntina che si posiziona sui solchi del disco crea un suono, anche senza amplificazione, solamente girando. Ascoltare musica attraverso i vinili è un rituale, che prevede la scelta minuziosa del disco, la selezione del lato che si desidera ascoltare, il posizionamento sull’asse di rotazione e l’allineamento della puntina sui solchi. Non è così approssimativo come una riproduzione casuale sul telefono. Il bello dei vinili è che ci si rende conto che la musica è anche qualcosa di materiale, ha una forma e nasce proprio lì, nel momento in cui la puntina sfiora quel determinato solco.

E poi, con dei bei dischi in vinile accatastati in libreria, potrete sembrare borghesi e colti agli occhi dei vostri ospiti, quando in realtà avete lo stesso scaffale Ikea del vostro vicino di casa.


Sara Lualdi

22 anni, laureata in Comunicazione Interculturale all'università Milano - Bicocca. Adoro scrivere, fare fotografie e mi piace rimanere aggiornata sulle novità nel mondo della cultura. Se potessi vivere in un film, sceglierei "Il favoloso mondo di Amélie".

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