Musica e cervello: un legame a ritmo di scienza

La musica influenza le emozioni e i ricordi e forse può anche renderci geniali.


Cervello e musica

La musica è uno strumento potente che può dare la carica o aiutare a rilassarsi. I suoni sono onde che colpiscono il nostro corpo e hanno effetti sul nostro sistema nervoso. La scienza alla base della musica e dei suoi effetti sul cervello è ancora oggi oggetto di ricerca. Negli ultimi anni, sono state stabilite importanti connessioni tra musica ed emozioni. Ad esempio, è stato provato che la musica può innescare il rilascio di dopamina, facendoci sentire felici.

Nel cervello si accende una sinfonia di neuroni

Laura Ferreri, professoressa di psicologia della musica presso l’Università di Pavia, ha dedicato anni di ricerca per provare a capire quale sia il ruolo della musica nella nostra vita. Immaginate di ascoltare la vostra canzone preferita: cosa pensate che accada al vostro cervello nel mentre? Ferreri risponde spiegando che il cervello si accende, creando una costellazione di attivazioni. Ciò coinvolge sia le aree che regolano il nostro comportamento sia le aree implicate nella percezione, nel movimento, nel linguaggio, nella memoria. La musica crea una sinfonia neurale nel nostro cervello. “Capire come il cervello traduca una sequenza strutturata di suoni, come la musica, in un’esperienza piacevole e gratificante è quindi una sfida affascinante” dice Ferreri.

Anche Kiminobu Sugaya, professore di neuroscienze presso la University of Central Florida, e Ayako Yonetani, famosa violinista, si sono interrogati sugli effetti della musica sulle varie aree del cervello umano. Per esempio, quando una canzone ci fa venire i brividi sulla schiena è merito dell’amigdala. Questo raggruppamento di materia grigia, stimolato da particolari melodie, attiva reazioni fisiologiche che intervengono sulla nostra sensazione di freddo e sull’adrenalina causando la pelle d’oca.

La musica come cura per ricordare di nuovo

In studi recenti Sugaya e Yonetani hanno scoperto che le persone affette da demenza rispondono meglio alla musica che erano solite ascoltare durante l’infanzia. “Se si suona la melodia preferita di qualcuno, diverse parti del cervello si attivano”, spiega Sugaya. “Ciò significa che i ricordi associati alla musica sono ricordi emotivi, che non svaniscono mai nemmeno nei pazienti affetti da Alzheimer”.

La musica ha effetti importanti sulla salute fisica e mentale e può essere utilizzata in programmi di riabilitazione cognitiva per aiutare pazienti malati di Parkinson o Alzheimer.

Borna Bonakdarpour, professore alla Feinberg School of Medicine (Chicago), ha sviluppato degli studi su come la musica influisce sul cervello delle persone affette da demenza. Bonakdarpour spiega che “per esempio cantare può essere un ponte per comunicare meglio attraverso la lingua. Il ritmo naturale della musica può aiutare le persone a camminare meglio”.

L’Alzheimer si diffonde nel cervello seguendo uno schema. Inizia nelle aree responsabili della memoria e arriva al tronco encefalico, la regione più antica e primitiva dell’encefalo, che funge da collegamento con il midollo spinale. La memoria musicale a lungo termine rimane intatta fino alle fasi più avanzate della progressione della malattia. La musica, quindi, può aiutare le persone affette da demenza. Può essere utilizzata per migliorare il loro umore e coinvolgimento, per aiutarli a rievocare ricordi felici.

Studiare ascoltando musica

È naturale domandarsi se il legame tra musica e memoria possa produrre degli effetti positivi anche quando si parla di studiare per gli esami. Molti ritengono che la musica aiuti a concentrarsi e quindi a memorizzare meglio, tuttavia i risultati scientifici al riguardo sono contrastanti.

In uno studio, Annette M.B. de Groot, professoressa presso la facoltà di scienze sociali e comportamentali dell’Università di Amsterdam, ha analizzato l’influenza della musica di sottofondo nell’apprendimento delle lingue. Due gruppi di studenti sono stati sottoposti a tre sessioni di apprendimento di vocaboli e dopo una settimana hanno affrontato un test. Il primo gruppo ha studiato i vocaboli ascoltando della musica classica, il secondo gruppo ha studiato nel silenzio. Il primo gruppo ha ottenuto risultati migliori nel test finale. Tuttavia, l’autrice ha riconosciuto che non tutti gli studenti hanno tratto lo stesso beneficio dall’ascolto della musica.

Gli studi distinguono spesso tra due tipologie di ragionamento. Il primo è il ragionamento verbale (che si attiva quando leggiamo) che a quanto pare migliora con l’ascolto della musica. Il secondo è il ragionamento astratto (che si attiva quando ripetiamo ad alta voce o risolviamo un problema) che generalmente è ostacolato dall’ascoltare la musica.

Il consiglio è quindi quello di indossare tranquillamente gli auricolari durante la lettura, ma di mettere in pausa la musica mentre si svolgono gli esercizi.

Mozart influenza i ragionamenti del nostro cervello?

Altri studiosi si sono interrogati sul legame tra musica e genialità.

Avete mai sentito parlare dell’effetto Mozart? Si tratta di una controversa teoria scientifica basata su uno studio del 1993 promosso dalla University of California, Irvine. I ricercatori, avendo notato che molti musicisti dimostravano insolite abilità matematiche, cercarono di capire gli effetti della musica sulle funzioni cognitive.

Nel loro primo studio fecero svolgere a 36 studenti universitari, divisi in tre gruppi, un classico test del quoziente intellettivo. Prima del test il primo gruppo aveva aspettato ascoltando una sonata di Mozart per 10 minuti, il secondo gruppo invece aveva ascoltato una melodia rilassante, mentre il terzo gruppo aveva atteso in silenzio. Gli studenti che avevano ascoltato Mozart ottennero punteggi più alti.

Successivamente i ricercatori vollero cercare di capire se questo effetto era esclusivamente causato della musica classica. Quindi fu ripetuto il test, questa volta confrontando Mozart a Philip Glass e di nuovo Mozart sembrò aiutare.

All’epoca l’idea che ascoltare musica classica potesse migliorare in qualche modo l’abilità di ragionare sembrò plausibile. Si diffuse allora l’idea che i neonati grazie all’ascolto delle sonate di Mozart sarebbero diventati più intelligenti, nonostante il fatto che l’esperimento non riguardasse dei bambini e che in realtà l’effetto positivo negli studenti durasse solo pochi minuti. Mozart era sicuramente un genio e la complessità della sua musica lo dimostra, ma l’idea che ascoltandolo parte della sua genialità possa trasferirsi su di noi è una speranzosa illusione.

Seguirono ulteriori ricerche. Sedici diversi studi confermarono che ascoltare musica porta effettivamente ad un miglioramento, in particolar modo dell’abilità di manipolare le forme mentalmente, ma che i benefici sono temporanei.

Nel 2010 Mozart fu di nuovo preso in esame, ma si scoprì che anche altri tipi di vibrazioni sonore funzionano. Sia le sinfonie di Schubert sia la lettura ad alta voce di un romanzo di Stephen King permettono di migliorare momentaneamente le capacità intellettuali. Quindi è probabile che le note della melodia non siano la chiave, ma lo siano il piacere e il coinvolgimento che ciò che ascoltiamo ci fa provare.


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